ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

05 aprile, 2013

Orchestraverdi – concerto n.29


Jader Bignamini torna sul podio a guidare laVerdi in un nuovo appuntamento con la Russia (al di qua della cortina...) più qualcosa di italiano moderno.

Una nota di carattere logistico: quando un programma prevede due pezzi per pianoforte e due per sola orchestra, anche un fanciullo arriverebbe a capire che convenga accorpare i due brani col solista. Se invece, come puntualmente accade qui, si pongono i due brani col pianoforte in posizione 2 e 3 (prima e dopo l’intervallo) si ottiene il mirabile risultato di costringere il pubblico a due intervalli supplementari, da trascorrere obbligatoriamente ancorati alla propria poltrona, contemplando i (per carità, efficientissimi) addetti che spostano e poi riallontanano l’ingombrante strumento a tastiera. Si poteva almeno risparmiare il primo trambusto preparando il pianoforte già in posizione, coperchio chiuso, per il breve brano d’apertura.

Si apre quindi con Alexander Borodin e le tanto famose, quanto ignota è l’opera, danze dal Principe Igor. Che tutti però ricordiamo come Straniero fra gli angeli.

Il brano (che nell’opera chiude il secondo atto) consiste, dopo una brevissima introduzione, nel succedersi di quattro danze, seguito dalla ripresentazione della 1, poi della 4, poi della 2 e infine da una Coda:


Nell’opera agli strumenti si aggiunge anche il coro, con un grandissimo effetto (qui un Gergiev letteralmente forsennato!): peccato che laVerdi (che dispone di un coro con i fiocchi) non abbia pensato di impiegarlo, proponendoci invece la versione puramente strumentale del brano (orchestrata da Rimski). Un po’ un’occasione perduta, anche se l’esecuzione dell’orchestra è stata davvero trascinante.   
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Segue la primizia contemporanea: una specie di Concerto per piano e orchestra di Nicola Campogrande, la voce (maschile) più… sexy di Radio3-Suite. Musica a programma, precisamente il ritratto di una donna (R è l’iniziale del nome) commissionato dal compagno (di nome A). Insomma, una specie di Sinfonia domestica in casa d’altri (smile!)

Sono 5 movimenti, i tre dispari assai mossi (personalmente ci ho visto Respighi, Stravinski e Varèse) a incastonarne due più lenti e quasi delle cadenze del solo pianoforte. Musica gradevole che non si direbbe composta oggi, il che tutto sommato torna a suo merito!

La protagonista di questa primizia è Lilya Zilberstein, una russa trapiantata in Germania che ha frequentazioni assidue con il nostro Paese. A giudicare dai complimenti che le ha rivolto alla fine l’Autore, salito sul palco a prendersi i dovuti applausi, dobbiamo pensare che l’esecuzione sia stata precisamente come Campogrande (e  la famiglia committente…) se l’aspettava.  
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Dopo l’intervallo torna la bravissima Lilya per proporci le 24 variazioni (oh, pardon! la rapsodia) di Rachmaninov sull’ultimo capriccio di Paganini. Qui una sua esecuzione a Torino con la RAI, ma già circa 14 anni fa la russa aveva eseguito il pezzo con laVerdi!

 
Domanda: in un pezzo di Rachmaninov potrebbe mai mancare una qualche citazione del Dies Irae? Ma certo che no, e infatti basta pazientare poco (fino alla variazione VII) per trovare il chiodo fisso del russo:


E non sarà di certo questa l’unica apparizione del famoso tema medievale, che torna nella variazione X, poi, camuffato, nella XIV, poi ancora nella XXII e finalmente nella XXIV.

Alla variazione XVIII arriva anche la parte languida e zuccherosa (è pur sempre… Rachmaninov!) ottenuta con l’espediente di invertire il tema principale, trasportandolo poi in REb maggiore:

Si apre qui l’ultima parte della Rapsodia, che poi chiude con una specie di sberleffo, come di uno spiritello che sparisce nel nulla con un paf! Ecco: una croma di LA appena sussurrato dal pianoforte, dal pizzicato degli archi, da timpano e campanelli e da tuba, corni e fagotti. 

Trascinante l’esecuzione della Zilberstein, che ci mette tutta la dovuta diabolicità, ben sorretta da Bignamini, il che le merita un autentico trionfo, non ricambiato (ma bisogna pure capirla!) da un bis
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Chiude la serata Stravinski, con il suo… poker col morto (smile!) il compositore russo trapiantato in occidente era diventato un accanito giocatore di poker, e così gli venne in mente il soggetto per un balletto dove a danzare sono… le carte. Si tratta di tre mani sempre aperte dallo stesso motivo, che rappresenta l’atto della distribuzione delle carte:


Le note di regìa del balletto sono assai dettagliate, con i danzatori che rappresentano le carte di cui via via scoprono il contenuto, togliendosi maschere e mantelli e dando luogo quindi alle diverse fasi della partita, con vincitori e vinti.

C’è anche un risvolto quasi sociologico nella trama del balletto, laddove il Joker, che si comporta praticamente da tiranno e fa vincere alla sua squadra le prime due mani alla grande, viene alla fine smerluzzato dal… popolo delle carte normali (una sontuosa scala reale di cuori!) 

Certo, con l’esecuzione puramente strumentale si fatica a percepire il contenuto letterario del brano (come si fa, in musica, a rappresentare le picche e i quadri?) e non resta che gustarlo come musica pura, costellata da impertinenti citazioni di Rossini, Ciajkovski e Beethoven… 

Bignamini, che dirige tutto (Campogrande escluso…) a memoria, trascina i ragazzi in un’esecuzione spiritosa e vibrante, meritandosi grandi ovazioni da un pubblico abbastanza folto. 
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Prossimamente un Mahler classico, preceduto da Lutoslavski.

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