ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

05 ottobre, 2012

Orchestraverdi – concerto n.4


Il quarto concerto dell'Orchestra Verdi ha decisamente assunto un sapore francese, rispetto a quello prevalentemente russo, programmato in origine. È presumibilmente la perdurante assenza di Zhang Xian ad aver consigliato la sostituzione del Poema dell'estasi di Scriabin con Debussy.

Ed è appunto Debussy che apre la serata con un'opera (relativamente) giovanile (1887): la Suite intitolata Printemps. Quella che viene eseguita qui è la versione orchestrata da Henri Büsser ben 25 anni dopo la composizione di quella per pianoforte e coro. Coro (senza testo) che fu espunto – Debussy concorde – dalla versione per orchestra (qui Boulez). Una ricostruzione con orchestra e coro è stata fatta più recentemente da Emil de Cou a San Francisco.
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È ancora un Debussy wagneriano quello che compone questo pezzo, anche se si riconosce da lontano il colore dei suoi suoni (è il flauto solo a presentarsi subito, come nel più famoso, successivo Faune) come pure la sua… cassetta degli attrezzi, a cominciare dalla scala pentatonica su cui è costruito (precisamente sui 5 tasti neri del pianoforte, FA# maggiore) il tema fondamentale del brano:

Brano che è suddiviso in due parti, la prima delle quali è caratterizzata da innumerevoli modulazioni, tutte aventi come base il tema principale, con pochi cambiamenti di ritmo e di atmosfera; si chiude con un accordo perfetto di FA# degli archi.

La seconda parte si apre – dopo una vaga reminiscenza del tema fondamentale, con una chiara citazione wagneriana: sembra di essere all'inizio del second'atto dei MeistersingerMa passa poco tempo e il tema fondamentale esplode, enfatico e grandioso nei corni, in RE maggiore:

Dopo il suo sviluppo, in cui pare di udire il tema del finale della Sinfonia in RE minore di Franck, torniamo a... Norimberga (dove appare persino… Loge) quindi ecco un nuovo motivo, piuttosto leggero e quasi ingenuo:
Anch'esso si sviluppa, prima di ridar posto al tema fondamentale, ripreso in LA maggiore dai violoncelli. Gli subentra il secondo tema riproposto a diverse altezze, finchè si giunge alla perorazione finale dei due temi in contrappunto.

È infine il tema udito fin dall'inizio a chiudere con grande enfasi e fracasso.
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Segue ora Ravel con il suo celebre La valse. A fronte della partitura l'Autore ci fornisce una sommaria descrizione ambientale, corredata da assai precise coordinate spazio-temporali:

L'indicazione A corrisponde in partitura alla battuta 67 (numero 9 di lettura) prima della quale avevamo udito una sorda introduzione - proprio ad evocare una specie di nebbia o di nuvolaglia - in cui dall'indistinto tappeto degli archi (con sordina) aveva cominciato ad emergere, nel colore scuro dei fagotti, il primo tema, in RE maggiore. Che compare proprio quando le brume si diradano, evocando una gran folla volteggiante in un salone smisurato:

Dopo che il tema, piuttosto languido, è stato adeguatamente sviluppato, vi subentra un secondo, più energico (gli archi rimuovono via via le sordine) e con ritmo assai più marcato:


Questa prima parte del brano termina alla battuta 139 (numero 17 di lettura) dove troviamo l'indicazione B e dove il walzer precedente si chiude con 9 battute in fortissimo di tutta l'orchestra, per lasciare spazio al successivo sviluppo. Nel quale troviamo un nuovo tema, presentato subito dall'oboe, poi ripreso dagli archi:
È seguito da una sua derivazione, che modula a LA, poi a SOL, per tornare infine al RE:

Qui ecco un'improvvisa esplosione, un colpo tremendo di grancassa e timpani (più fagotti, controfagotto e contrabbassi) seguito da una rumorosa fanfara di tutti gli ottoni, che pare l'irruzione in sala di un drappello della guardia imperiale; insomma, una cosa che a ben vedere ha assai poco di straussiano, e se qualcosa ha di viennese, questo è caso mai più vicino allo Schattenhaft della settima di Mahler:
Tutto questo fracasso introduce una perorazione in SIb di una nuova variante del tema precedente:

Che è poi seguito da un nuovo motivo, più danzabile, in MIb (che sarà ripreso con grande enfasi nella ricapitolazione):

Dopo la sua ripetizione, gli strumentini creano un'atmosfera più rarefatta, caratterizzata da un motivo leggero e saltellante, esposto dapprima dagli oboi:

Atmosfera che però dura poco, rotta ancora da pesanti accordi di tutta l'orchestra (semiminima puntata – croma – semiminima) intercalati da folate di musica, che evocano l'infrangersi di ondate dell'oceano su una scogliera… (questa figurazione tornerà, in forma e frastuono moltiplicati, nel finale) finchè si arriva all'esposizione del motivo (due crome - minima) che dominerà il seguito, un motivo che nell'attacco e nel ritmo pare vagamente richiamarsi all'Ohne mich dello Strauss bavarese, ma con sfumature espressioniste:
Il tema è successivamente e corposamente sviluppato anche dagli archi e porta ad una nuova rarefazione dell'atmosfera, con sottili modulazioni, incluso un intervento di due violini soli, prima di un nuovo ritorno di folate di vento, soprattutto nei fiati, che chiudono - si potrebbe dire - l'esposizione

Ora inizia la sezione conclusiva del brano, una specie di sviluppo e insieme di ricapitolazione di ciò che si è udito in precedenza. Dapprima si torna quasi all'inizio, con l'atmosfera nebulosa da cui emergono i fagotti, poi i vari temi fanno capolino, risentiamo le folate interrotte dagli schianti (semiminima puntata – croma – semiminima) fino quasi ad un instaurarsi del silenzio. Che è rotto da sospiri – in levare, perché siamo sempre in un walzer! - di fagotti e controfagotto, quasi ansimanti, ad introdurre il tema (due crome - minima) che aveva caratterizzato l'ultima parte dell'esposizione. 

Questo tema adesso si fa sempre più incalzante, passando da fiati ad archi e viceversa, poi uscendo da tutti gli strumenti, fino ad un tonfo caratterizzato da tre poderose note discendenti degli ottoni, ripetute, che scatenano l'orgiastico finale, imperniato sulla figurazione semiminima puntata – croma – minima - semiminima, che imperversa di continuo fino alla catastrofica conclusione, ra-ta-pa-ta/pùm
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Una cosa è certa: alla Corte imperiale nell'anno di grazia 1855 musica come questa avrebbe fatto scappare gli invitati a gambe levate! Quanto al compositore, avrebbe fornito il pretesto a Franz Joseph I von Österreich per procrastinare di decenni la riconversione dello Spielberg da carcere in caserma (smile!)
   
Davvero rimarchevole la prestazione dell'orchestra, trascinata da un sempre più convincente Gaetano D'Espinosa, che ha mostrato grande sicurezza e autorevolezza, dirigendo entrambe le partiture a memoria.

Partitura che si è invece messo davanti per la strafamosa Sacre di Stravinski. Una cosa che al severo (e soprattutto tedesco) Theodor Wiesengrund Adorno faceva venire l'orticaria; e per la verità suscitò tumulti di piazza al suo primo apparire, ma subito dopo entrò, come si merita, nel novero degli autentici capolavori in musica.

Questa una pagina (dalla Processione dei vecchi saggi) che è rimasta un esempio insuperato di poliritmìa:




Grandissima prestazione dei ragazzi de laVerdi e del giovane Direttore (che è anche violinista, ex-Konzertmeister a Dresda, oltre che compositore) che pare avere stabilito un feeling particolare con l'orchestra, testimoniato dall'abbraccio scambiato con Luca Santaniello dopo questa maiuscola esibizione. 
  
E sarà ancora lui a proporci Brahms, preceduto da due nostri contemporanei (o quasi...) al prossimo appuntamento.

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