ricongiungimenti

Maurizio & Claudio

25 luglio, 2012

A Bayreuth niente svastiche, solo panzer…


Der fliegende Holländer ha così inaugurato il Festival n°101. Grandioso successo di pubblico (stando a ciò che ci hanno riportato i microfoni delle radio) che credo si spieghi col fatto che oggi – come negli anni ’40 – la Germania si sente in guerra contro tutti, e a Bayreuth può mostrare i muscoli.

Christian Thielemann – ormai il padre spirituale del festival - è il trionfatore della prima, con una direzione che più tedesca (e quindi autentica, sia chiaro!) di così si muore: nel terzo quadro si vedevano chiaramente i panzer marciare su… Bruxelles (smile!A parte le battute, Thielemann possiede quello che si definisce il gene wagneriano, forse già presente nel suo DNA, ma di certo ben pasciuto dalla frequentazione diretta di gente come Karajan o indiretta di maestri come Furtwängler… L’unico difetto che gli imputo (personalmente) è la manìa - comune peraltro a molti direttori, soprattutto se famosi - di lasciare sulle partiture quelle che chiamo (con termine irriverente, ok) pisciatine di cane (tipicamente: indebiti salti di tempo, che faranno anche effetto, ma siamo sempre lì: se accettiamo questa, allora dobbiamo poi accettare qualunque invenzione di qualunque altro direttore?)  

L’orchestra e il coro di Bayreuth sono – soprattutto se guidate da uno come Thielemann – delle macchine quasi perfette, nelle quali è difficile trovare difetti, e anche oggi lo hanno confermato in larga misura (ricordo solo una piccola sbavatura di un attacco del coro e un paio di incertezze dei corni).

La protagonista principale, la Senta di Adrianne Pieczonka, ha avuto un partenza un poco freddina, ma per il resto mi pare abbia ottimamente retto l’urto di una parte assai impegnativa (buon viatico per quando la sentiremo in quel ruolo a Torino, fra qualche mese).

Suo padre Daland, Franz-Josef Selig, mi è parso francamente non all’altezza: ha cercato di dare espressione al personaggio, ma il canto ha lasciato a desiderare assai: difficoltà continua di intonazione e timbro del tutto sgradevole. Per me, un esordio non proprio felice sulla collina verde.

Meglio, se non altro date le circostanze di assoluta emergenza in cui si è venuto a trovare, è andato l’Holländer di Samuel Youn: essere catapultato all’ultimo momento in una prima e in un ruolo-chiave (per uno che ha solo sostenuto a Bayreuth parti secondarie) non dev’essere uno scherzo davvero. Lui in fin dei conti ha colmato il vuoto lasciato da Nikitin (meglio: dall’ipocrisia dilagante lassù) in modo dignitoso.

Lo sfigato Erik era l’esordiente (a Bayreuth) Michael König: una prestazione appena appena discreta la sua, in una parte pur non proibitiva (nell’aria del terzo quadro ha accuratamente evitato anche un non impossibile LA acuto…)  

Bene lo Steuermann di un altro esordiente, Benjamin Bruns, voce chiara e ben impostata. Decisamente un gradino sotto la Mary di Christa Mayer.
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PS: ogni volta che ascolto l’Holländer non posso non pensare alla stupidità della tradizione di Bayreuth (leggi: Cosima) che vi rappresenta quest’opera, e vi tiene rigorosamente fuori Rienzi.

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